lunedì, giugno 21, 2010

ricercatori

IL VERO SCANDALO DELL’UNIVERSITÀ

Da parecchi anni è in atto una campagna mediatica e politica di accusa e distruzione dell’università pubblica. Ma esiste anche un’altra faccia della medaglia, che nessuno vuole vedere.
Le pagine dei giornali si riempiono di articoli che sottolineano il marcio e gridano allo scandalo: esami comprati e venduti, concorsi truccati, cervelli in fuga e cervelli che non riescono a rientrare. Nessuno però si preoccupa dello smantellamento in atto dell’università pubblica: i continui ed indiscriminati tagli dei finanziamenti pubblici ad università e ricerca, la mancanza di una riforma attesa da anni e il blocco quasi totale dei concorsi. Non un titolo di giornale che spieghi quello che sta avvenendo, non una trasmissione televisiva che accenni al problema seriamente.
Per protestare contro questa situazione divenuta ormai insostenibile, i ricercatori di alcune università hanno chiesto (anche noi al Politecnico) ed ottenuto di bloccare tutte le attività didattiche del loro ateneo. Ma di questo non vi è traccia sui giornali.
Del resto perché qualcuno dovrebbe ritenerla una notizia importante? Si tratta di una questione che riguarda solo gli studenti universitari e quei pochi ricercatori rimasti in Italia, quelli che per la solita esterofilia italiana non sono ritenuti dei cervelli (si sa, se vai all’estero sei più bravo degli altri, se stai in Italia sei un raccomandato senza capacità).
Certo, i raccomandati ci sono, come da ogni altra parte, tra i giornalisti, tra i magistrati, tra gli avvocati, tra i politici, ecc., ma ci sono anche quelli bravi, che sono quotidianamente impegnati su più fronti e che da tempo attendono il riconoscimento dei loro meriti.
Purtroppo, di questi nessuno parla, non fanno notizia.
Chi scrive vorrebbe che si parlasse di questi, del loro lavoro giornaliero e silenzioso; vorrebbe che si parlasse di chi ha un cervello e anche un cuore; di chi ama la propria professione al tal punto da trascorrere ore e ore su libri e riviste scientifiche, in laboratorio, in aula e spesso anche a casa; di chi non guarda se è giorno o notte, se è sabato o domenica, perché se sta scrivendo un articolo scientifico o sta lavorando ad un progetto stimolante, non molla quello che sta facendo finché non lo porta a compimento, come quando si legge un giallo appassionante e non si chiude il libro finché non si giunge all’ultima pagina.
Vorrebbe che si parlasse di questi cervelli che pur potendo andare all’estero, sono rimasti qui nonostante tutto; di questi che pur avendo una professionalità facilmente spendibile sul mercato (noi del Politecnico siamo ingegneri) hanno preferito restare nell’università, scegliendo, quindi, questo lavoro, per passione o per volontariato come giustamente è stato sottolineato da qualcuno. Se non si ha passione questo lavoro non lo si fa e non lo si fa soprattutto in Italia, dove si è oberati da compiti che non ti spettano. Ed è qui il vero nocciolo della questione: se noi ricercatori ci limitassimo a svolgere i compiti per i quali siamo stati assunti, cioè fare ricerca, molte facoltà si troverebbero nelle condizione di non poter soddisfare l’attuale offerta formativa.
Che significa? Che i ricercatori coprono a titolo di supplenza, spesso gratuita e se retribuita, con poche centinaia di euro all’ANNO, gran parte dei corsi universitari che li impegna a fare lezione per un semestre ed esami per tutto l’anno.
Se i ricercatori decidessero di non accettare più questi incarichi (e le agitazioni in corso minacciano questo), i corsi non avrebbero la copertura didattica e, quindi, niente docenti, niente corsi. Ne consegue che se un’università offre oggi dieci corsi di laurea, in mancanza del contributo didattico dei ricercatori, si dovrà limitare ad offrirne cinque. Gli studenti che vorranno iscriversi ai corsi di laurea soppressi dovranno necessariamente rivolgersi ad un’altra sede universitaria. Allora non avremo solo i famosi cervelli in fuga, ma anche i futuri cervelli in fuga.
Se questo succederà non sarà per colpa dai ricercatori, ma del sistema che è mal progettato e lento al cambiamento. Se l’università italiana si regge sul lavoro di chi non è titolato a farlo, di chi non è stato assunto per fare questo, vuol dire che il sistema non funziona.
Dov’è la riforma? I ricercatori la vogliono e la vogliono meritocratica e la vogliono immediatamente e la vogliono per fare chiarezza sui loro compiti istituzionali.
I ricercatori vogliono che anche la stampa così attenta alle questioni universitarie quando si parla di scandali, si impegni seriamente a parlare di questo grave scandalo: in Italia si vuole tutto, tranne un’università che funzioni.
Se qualcuno si sta ancora chiedendo il perché del titolo di questa lettera, vuol dire che il de profundis dell’università è ormai già suonato.



Firmato
I ricercatori del Politecnico di Bari

mercoledì, giugno 02, 2010

storia



a parte il russo, questo film è stato ricordato in una pizzeria con matteo... troppo divertente guardatelo!!